Discorso di Nout Wellink
Presidente della BRI e Presidente del Consiglio di amministrazione
in occasione dell'Assemblea generale ordinaria della Banca tenuta in Basilea il giorno 30 giugno 2003
in occasione dell'Assemblea generale ordinaria della BRI, ho il privilegio e il piacere di rivolgere un caloroso benvenuto a tutti i delegati delle banche centrali nostre azioniste, ai rappresentanti delle altre banche centrali e delle istituzioni internazionali, nonché ai nostri eminenti ospiti, fra cui molti esponenti della comunità bancaria e finanziaria internazionale.
Come l'anno passato, sono previsti due interventi nel corso dell'Assemblea: un commento sull'economia mondiale e un rapporto sulla situazione generale della BRI presentato da Malcolm Knight che, come noto, è subentrato ad Andrew Crockett nella carica di Direttore Generale della Banca nell'aprile di quest'anno.
Vorrei pertanto passare a considerare la situazione economica mondiale, cominciando dagli sviluppi nell'anno trascorso e volgendo poi lo sguardo alle potenziali sfide che ci attendono nel futuro. Così come si conviene a un prudente banchiere centrale, concentrerò l'attenzione sui rischi e sulle loro implicazioni per la politica economica.
Gli andamenti economici dalla primavera del 2002 sono stati deludenti. Dopo alcuni segni iniziali molto promettenti, specie negli Stati Uniti, l'auspicata ripresa mondiale ha perso slancio. Particolarmente deludente è stata la crescita nell'area dell'euro, dove - contro le più diffuse aspettative - essa si è di fatto indebolita. Il Giappone ha continuato a lottare per risollevarsi da una prolungata fase recessiva. Nell'area emergente il recupero di molti paesi latino-americani è stato frenato da vincoli nel finanziamento esterno e da problemi di natura locale, dileguatisi solo con lentezza. Le principali note positive sono provenute dall'Asia e dall'Europa centro-orientale, dove l'espansione ha mostrato una notevole resilienza. Anche in un ristretto numero di paesi industriali la crescita si è rivelata alquanto sostenuta.
Nel complesso la performance è stata fiacca nonostante il forte sostegno delle politiche macroeconomiche. L'orientamento monetario è rimasto per lo più accomodante. In seguito all'allentamento che era stato avviato sulla scia della decelerazione mondiale, i tassi ufficiali corretti per l'inflazione si sono in genere attestati al disotto del livello di equilibrio di lungo periodo. Essi sono stati ancora ridotti, dopo una pausa, laddove i segnali di un cedimento della ripresa erano divenuti più evidenti. Analogo sostegno all'attività economica è stato fornito, con varia intensità, dalla politica di bilancio. Ciò vale in particolare per gli Stati Uniti, dove le misure discrezionali hanno spinto il disavanzo dei conti pubblici a livelli elevati, e per la maggior parte dei paesi emergenti. L'area dell'euro e il Giappone hanno lasciato operare gli stabilizzatori automatici, ma le condizioni di partenza hanno ristretto i margini di manovra.
Per ciò che concerne gli aspetti positivi, l'inflazione è rimasta generalmente moderata, consentendo alle autorità monetarie di impiegare il proprio strumentario per stimolare la domanda. Alla favorevole dinamica dei prezzi ha indubbiamente contribuito la debolezza dell'economia mondiale, ma anche la credibilità delle banche centrali, acquisita a duro prezzo, ha svolto un ruolo importante. A differenza degli anni settanta e dei primi anni ottanta, i rincari del petrolio non hanno innescato aumenti duraturi dei salari e dei prezzi, e le aspettative di inflazione si sono rivelate saldamente ancorate a bassi livelli. Certo, fino ad epoca recente il quadro non è stato altrettanto roseo per l'America latina: i prezzi sono saliti ben al disopra degli obiettivi di inflazione nei paesi che hanno subito netti deprezzamenti della valuta. Anche in questi casi, tuttavia, la traslazione del cambio sui prezzi è sembrata più contenuta che in passato.
Nondimeno, le moderate pressioni inflazionistiche non coincidono necessariamente con la stabilità dei prezzi desiderata. Alcune economie asiatiche hanno di fatto registrato una flessione nel livello generale dei prezzi. In qualche caso, come in Cina, il fenomeno è stato relativamente innocuo, poiché si è accompagnato a una rapida crescita della produttività e del PIL. Tuttavia, in altre economie - Giappone e Hong Kong in particolare - esso è stato molto meno propizio. Per la prima volta dal dopoguerra ci si è interrogati sulla possibilità che tali tendenze deflazionistiche possano propagarsi altrove. Anche in alcune realtà al di fuori dell'Asia le curve dei prezzi, tenuto conto delle tipiche distorsioni per eccesso degli indici, si sono pressoché appiattite nel corso dell'anno.
Un aspetto incoraggiante in questo quadro altrimenti composito è la buona tenuta di cui ha dato prova ancora una volta il sistema finanziario; ciò costituisce un importante punto di forza dell'economia mondiale. Se da un lato le compagnie di assicurazione hanno dovuto far fronte a situazioni di tensione, dall'altro le banche hanno assorbito meglio che in passato la fase di rallentamento ciclico, nonostante le eccezionali perdite di ricchezza a livello globale derivanti da tre anni di declino dei prezzi azionari e i problemi del settore societario nelle maggiori economie; in effetti, nel periodo in esame i declassamenti del merito di credito, i fallimenti e le perdite per insolvenza hanno spesso superato i livelli osservati agli inizi degli anni novanta. Non tutti i sistemi bancari hanno però registrato performance ugualmente soddisfacenti. Le banche tedesche, ad esempio, hanno riportato risultati deludenti, e quelle giapponesi hanno continuato a misurarsi con serie difficoltà finanziarie. In altri paesi, tuttavia, i profitti sono complessivamente scesi solo di poco o, come negli Stati Uniti, hanno segnato un progresso, e la qualità degli attivi è stata in genere preservata. È pur vero che a questo esito favorevole hanno concorso alcune peculiarità dell'attuale fase di decelerazione. Ma un importante contributo è derivato da iniziative come quelle intese a tagliare i costi, a migliorare la gestione del rischio, a esercitare una maggiore cautela durante gli anni di forte espansione. A ciò si è aggiunto l'apporto fornito dalle autorità di vigilanza bancaria.
Guardando al futuro si pongono due interrogativi: la ripresa tornerà a decollare o si farà attendere ancora per qualche tempo? e quali sono i rischi per le prospettive economiche? Per rispondere a queste domande, vale la pena riflettere brevemente su come si è giunti all'attuale congiuntura economica mondiale. Al riguardo, vorrei sottolineare in particolare tre punti.
Primo, a tre anni circa dall'inizio della fase contrattiva, i contorni del recente rallentamento appaiono ora molto più netti. Quel che in un primo tempo poteva comprensibilmente essere interpretato alla stregua di un normale ciclo delle scorte si è rivelato poi un'insolita fluttuazione ciclica rispetto all'esperienza del dopoguerra. Nel presente episodio, la decelerazione non è stata innescata anzitutto da un inasprimento delle condizioni monetarie mirante ad arginare pressioni inflazionistiche; al contrario, essa è riconducibile in ampia misura a una riduzione spontanea della spesa per investimenti, associatasi a minori profitti e al crollo dei corsi azionari. Questi sviluppi erano stati preceduti da un lungo periodo di rapida espansione, forti rialzi dei prezzi delle attività e accumulazione del debito, specie negli Stati Uniti. A prescindere dalle ovvie differenze, vi sono alcune analogie con passati episodi i cui effetti echeggiano ancora oggi, come nel caso del Giappone e di alcuni paesi dell'Est asiatico.
Secondo, la natura stessa del rallentamento spiega in gran parte le caratteristiche dell'esitante ripresa osservata sinora. Gli investimenti sono stati particolarmente deboli poiché le imprese - strette fra il crollo dei prezzi delle attività e gli alti livelli del debito - hanno cercato di assorbire l'eccesso di capacità e di consolidare i bilanci. Viceversa, i consumi hanno rappresentato in genere il fattore trainante dell'attività. La spesa per immobili residenziali, nella fattispecie, ha tratto grande beneficio dal calo dei tassi a breve e a lungo termine, scesi talvolta ai minimi del dopoguerra, mentre i prezzi degli alloggi hanno mostrato un insolito dinamismo in molti paesi. Inoltre, l'allentamento fiscale ha fornito un consistente supporto alla domanda.
Terzo, la diseguale configurazione della crescita fra le varie aree si è tradotta in un ulteriore ampliamento dei saldi con l'estero a livello internazionale. Nel periodo in esame il disavanzo del conto corrente degli Stati Uniti è aumentato, di riflesso al loro ruolo di fonte ultima di domanda in un'economia mondiale per il resto anemica. E ciò ha evidentemente cominciato a pesare sul dollaro, la cui prolungata tendenza all'apprezzamento ha subito un'inversione di segno.
La questione centrale che si pone ora è se le politiche di stimolo e la spesa per consumi possano fungere da volano a una ripresa degli investimenti, senza generare squilibri che rischino prima o poi di minacciare la sostenibilità della crescita. Sotto questo aspetto, le prospettive non sono univoche.
Indubbiamente, non mancano diversi segnali incoraggianti. Al dissolversi delle incertezze legate alla guerra in Iraq, i prezzi del greggio sono scesi, è venuto meno il "premio di rischio bellico" che aveva frenato la fiducia, e i mercati azionari hanno messo a segno forti rialzi. Fino a maggio inoltrato gli spread creditizi hanno continuato a calare dai massimi dello scorso anno, rispecchiando anche un certo recupero di fiducia degli investitori dopo le irregolarità nel governo aziendale che avevano scosso i mercati durante il 2002. Nel contempo, le imprese hanno continuato a ridurre risolutamente il grado di leva finanziaria e i profitti hanno dato segni di recupero. Questi sviluppi hanno interessato in particolare gli Stati Uniti, dove la crescita della produttività ha mostrato una considerevole tenuta. Poiché i livelli delle scorte sono esigui e gli effetti delle politiche di stimolo non si sono ancora dispiegati appieno, sembrano esservi le premesse per un'accelerazione della ripresa economica.
Tuttavia, permangono alcuni rischi strettamente correlati, che attengono alle condizioni sia dei mercati finanziari sia dell'economia reale.
Uno di essi riguarda la relazione fra prezzi correnti delle attività e grandezze economiche fondamentali. Nonostante la pronunciata correzione degli ultimi tre anni, in taluni paesi i rapporti prezzo/utili paiono ancora incorporare proiezioni alquanto ottimistiche sulla redditività delle imprese. In alcuni casi, laddove operano meccanismi compensativi, tali indici potrebbero inoltre non cogliere pienamente gli effetti ritardati della flessione dei corsi sul sottofinanziamento degli schemi pensionistici privati. Analogamente, sebbene la percezione di una migliore affidabilità creditizia abbia certamente contribuito al calo degli spread, questo è stato altresì favorito dalla "caccia ai rendimenti" innescata da tassi sui titoli di Stato ai minimi storici. Vi sono inoltre segnali di un cedimento dei prezzi degli immobili residenziali in alcuni mercati, dopo i forti rialzi del passato. Potrebbe così riaffermarsi la correlazione storica secondo cui un picco dei corsi azionari preannuncia un punto di svolta superiore dei prezzi delle abitazioni, benché - in questo caso - con un certo ritardo, dovuto in parte al sostegno offerto dall'allentamento delle condizioni monetarie.
In secondo luogo, la spesa per consumi potrebbe non reggere sufficientemente a lungo. L'effetto frenante sugli investimenti prodotto dall'esigenza di "sfrondare" i bilanci potrebbe rivelarsi più duraturo del previsto, dato che il debito resta ben al disopra della media storica e che il finanziamento con capitale di rischio continua ad essere difficoltoso. Pur rappresentando un caso estremo, l'esperienza giapponese è piuttosto eloquente al riguardo. E quanto più la ripresa stenta a decollare, tanto più arduo sarà per i consumi sostenere la crescita. In molti paesi le famiglie hanno spinto i rapporti debito/reddito a livelli senza precedenti. Esse potrebbero vedersi costrette - così come avvenuto per le imprese - a invertire la rotta in caso di un ulteriore indebolimento dei prezzi degli alloggi e dei mercati del lavoro.
Inoltre, l'attuale configurazione dei conti correnti a livello mondiale aggiunge un ulteriore elemento di complessità. Da un lato, il deprezzamento del dollaro dovrebbe tendere a ridurre il saldo con l'estero degli Stati Uniti. Ampliando i margini per un allentamento delle condizioni monetarie negli altri paesi, esso potrebbe anche fornire un salutare stimolo alla domanda globale. Il rischio in questo caso è che, se il deprezzamento dovesse assumere un ritmo troppo brusco, i necessari aggiustamenti potrebbero non procedere in maniera ordinata, anche a causa di eventuali perdite sulle posizioni prive di copertura, intensificando così le tendenze protezionistiche. La debole espansione della domanda interna nel resto del mondo amplifica tale rischio. I paesi creditori che hanno fatto pesante affidamento su una crescita trainata dalle esportazioni sarebbero naturalmente in posizione migliore per sostenere una parte dell'onere di aggiustamento. Dall'altro lato, non si può escludere l'eventualità, meno gradita, di una correzione del saldo con l'estero per effetto di un calo della domanda interna e del prodotto negli Stati Uniti. Da notare, in particolare, che i saggi di risparmio delle famiglie hanno ripristinato solo in parte una tendenza verso livelli storici più normali.
Da ultimo, nell'eventualità di un prolungato periodo di debolezza dell'economia mondiale, è improbabile che il sistema finanziario ne rimanga immune. Con il tempo, ciò eroderebbe ulteriormente gli esistenti presidi a garanzia della stabilità, portando forse alla luce potenziali fragilità nel funzionamento di taluni mercati finanziari. Un possibile esempio a questo riguardo è il mercato degli strumenti per il trasferimento del rischio di credito, che è cresciuto rapidamente negli ultimi anni ma non è ancora stato messo interamente alla prova in condizioni avverse.
In tale contesto, la sfida principale per le politiche economiche è quella di promuovere una crescita mondiale sostenibile, favorendo al tempo stesso un graduale assorbimento degli squilibri reali e finanziari, interni e internazionali, accumulatisi nel corso dell'ultimo decennio di espansione senza precedenti. Ciò assume particolare importanza per le economie a più lento ritmo di crescita al di fuori degli Stati Uniti. Non sarà un compito facile, poiché quegli squilibri restringono il margine di manovra e rendono più complesso il trade-off fra benefici a breve e costi a più lungo termine. Per giunta, qualora dovessero concretizzarsi alcuni di questi rischi, le autorità potrebbero trovarsi a navigare in acque totalmente sconosciute. Infatti, con il protrarsi della debolezza economica oltre certi limiti, non è escluso che la deflazione si propaghi al di là del continente asiatico.
Lo spazio di manovra per affrontare un più lungo periodo di debolezza, semmai dovesse verificarsi, varia a seconda dei paesi e delle leve di azione prescelte.
A un estremo vi è il Giappone, cui restano ben poche "munizioni". Con tassi ufficiali ormai sullo zero, la strategia di allentamento quantitativo messa in atto dalla banca centrale non ha prodotto i risultati sperati, e l'efficacia di strumenti meno convenzionali di politica monetaria è lungi dall'essere acclarata. A ciò si aggiunge il pronunciato deterioramento della posizione di bilancio nel medio-lungo periodo. La priorità per il paese consiste nell'impiegare le scarse risorse fiscali disponibili per portare avanti la ristrutturazione delle imprese e delle istituzioni finanziarie, necessaria ad allentare i vincoli dal lato dell'offerta, liberare la domanda latente nel settore societario e ripristinare in certa misura l'efficacia della politica monetaria. Tutto ciò richiederà una stretta cooperazione fra autorità monetarie, fiscali e di vigilanza. Le pressioni al rialzo sul cambio costituiscono tuttora un vincolo indesiderato per le politiche.
Nell'area dell'euro i margini di manovra sono ripartiti in modo diseguale fra i vari strumenti. Le opzioni di politica fiscale sono state drasticamente ridotte dalla mancata attuazione - quando il momento era favorevole - dei necessari aggiustamenti strutturali, atti a rafforzare la credibilità dell'orientamento a medio termine adottato. La politica monetaria, per contro, dispone sia degli spazi sia delle credenziali, guadagnate nella lotta all'inflazione, per procedere a un allentamento ove le circostanze lo richiedano. Ciò premesso, la sfida principale consiste tuttavia nell'aumentare il potenziale di crescita dell'area. Non si intravedono al momento alternative all'adozione di misure incisive volte a migliorare la flessibilità nei mercati del lavoro e nei mercati dei prodotti. L'indispensabile liberalizzazione di questi ultimi potrebbe inoltre imprimere un benefico impulso alla domanda nel breve termine. Se nell'ambito del processo di aggiustamento globale l'euro dovesse guadagnare ancora terreno, il suo apprezzamento dovrebbe fungere da catalizzatore per le necessarie riforme, non da pretesto per un pericoloso ritorno al protezionismo.
Negli Stati Uniti il quadro è ancora diverso. La politica monetaria è ormai prossima a uno stadio in cui la sua efficacia potrebbe divenire più incerta. E la politica fiscale è andata velocemente esaurendo il margine di "copertura strutturale", in parte illusorio, accumulato durante l'espansione, al punto che - se perdurasse la dinamica attuale - la sua stessa sostenibilità di lungo periodo potrebbe essere messa in discussione. I principali punti di forza dell'economia americana sono la rapida crescita della produttività e la capacità di adattamento, come dimostra la flessibilità dei mercati dei prodotti e dei fattori. Entrambe potrebbero rivelarsi molto preziose nei tempi a venire.
Per gli altri paesi il contesto appare più eterogeneo. Tuttavia, una caratteristica comune a molti di essi, specie nell'area emergente, è che stanno tornando nuovamente alla ribalta le questioni di sostenibilità fiscale, che erano rimaste sopite per gran parte degli anni novanta. Ciò riguarda soprattutto l'America latina. La politica monetaria resta una risorsa importante, sempreché non sia imbrigliata da vincoli di finanziamento esterno - ed è ancora il caso dell'America latina - o il margine di manovra non sia stato già fortemente sfruttato, come in alcuni paesi asiatici in deflazione. La priorità per molte economie emergenti è quella di proseguire nella costruzione di una solida infrastruttura finanziaria.
Quali insegnamenti generali possiamo trarre da questa analisi? Ne vorrei sottolineare tre.
Primo, nel fissare il quadro di riferimento delle politiche occorre conciliare i vincoli che assicurano la sostenibilità nel medio periodo con meccanismi che consentano una risposta flessibile a sviluppi congiunturali di breve termine o a possibili circostanze straordinarie. Proprio un impegno trasparente alla sostenibilità nel lungo periodo conferisce credibilità ed efficacia alle misure discrezionali a breve termine. Troppo spesso si tende a dimenticare questa semplice lezione quando i tempi sembrano propizi, come mostrano chiaramente le attuali limitazioni incontrate da alcuni paesi nel ricorso a politiche fiscali in funzione anticiclica. Ma questo insegnamento vale ugualmente per altri ambiti, comprese la politica monetaria e l'azione di vigilanza. La sua coerente osservanza sarà una sfida per l'avvenire, così come lo è stata in passato.
Secondo, nel prossimo futuro potrebbe divenire più urgente la necessità di cooperazione fra autorità monetarie, fiscali e, in alcuni casi, di vigilanza. Cooperazione non significa necessariamente compromesso ma, piuttosto, un insieme concordato di azioni basato su una comune e chiara comprensione dei relativi ruoli. L'esigenza di un siffatto approccio è massimamente evidente nel caso del Giappone, dove la criticità delle condizioni ha di fatto attenuato la demarcazione fra manovra monetaria e fiscale. Tuttavia, essa è avvertita anche a livello più generale in un periodo, come questo, di prolungata crescita al disotto del potenziale.
Infine, il carattere globale di queste sfide è destinato a mettere ulteriormente alla prova il processo di cooperazione internazionale, che di recente ha dovuto misurarsi con alcune difficoltà, e non solo in ambito economico. In taluni casi, come il Doha Round sulla liberalizzazione degli scambi, tale processo si è rivelato carente. Se vogliamo superare con successo questa prova, dobbiamo tutti moltiplicare i nostri sforzi nelle rispettive sfere di competenza.
Prima di dare la parola al Direttore Generale, vorrei menzionare i principali cambiamenti intervenuti nel Consiglio di amministrazione.
Nel dicembre 2002 Urban Bäckström ha rassegnato le dimissioni dalla carica di Governatore della Sveriges Riksbank, lasciando vacante il suo seggio nel Consiglio. Lars Heikensten, suo successore a capo della banca centrale svedese, è stato eletto membro del Consiglio con decorrenza dal gennaio di quest'anno.
Nel marzo 2003 Masaru Hayami ha lasciato la carica di Governatore della Banca del Giappone, e quindi quella di membro del Consiglio. Al suo posto è stato eletto Toshihiko Fukui, nuovo Governatore della banca centrale nipponica.
Bill McDonough si è dimesso dalla carica di Consigliere nel giugno di quest'anno. Alla sua successione Alan Greenspan ha designato Jamie Stewart, Acting Chief Executive Officer della Federal Reserve Bank di New York.
Lord Kingsdown, ex Governatore della Banca d'Inghilterra e decano del Consiglio di amministrazione della BRI, lascerà da domani il suo seggio dopo vent'anni di servizio, di cui gli ultimi sette in qualità di Vice Presidente. Gli subentrerà Hans Tietmeyer, ex Presidente della Deutsche Bundesbank.
Desidero sottolineare che uno dei principali obiettivi su cui si è incentrato il lavoro del Consiglio nel trascorso esercizio finanziario è stato quello di accrescere la trasparenza della BRI a beneficio delle parti interessate. Tale obiettivo ha riguardato in particolare il reporting finanziario. Su questa e su altre questioni vi saranno forniti maggiori ragguagli dal Direttore Generale, che invito pertanto a prendere la parola. Vi ringrazio sentitamente.